Traduzione come dissidenza

rivistaminimaSi tende a pensare alla traduzione come a un processo necessario per consentire la fruizione di opere straniere. E in effetti è così; ciò che spesso non si considera è la motivazione che rende necessario quel processo in un preciso contesto culturale e sociale. Ci sono moltissimi motivi diversi per cui un’opera può diventare interessante in un altro Paese, alcuni legati alle affinità culturali di un determinato momento storico, altri a meri fini commerciali e alle mode del momento, altri a processi ben più complessi e, a mio parere, interessanti.
La traduzione di un’opera può anche avvenire per scuotere il sistema letterario (o polisistema, come direbbe Itamar Even-Zohar) in cui il modello o il genere di quell’opera sono assenti oppure occupano una posizione troppo marginale. È un meccanismo interessante, perché parte da una spinta contraria a quella del mercato e del consenso facile, e dal desiderio di svecchiare e arricchire il proprio contesto culturale con qualcosa di nuovo. Si tratta quasi di una forma di ribellione ai canoni del momento, ed è sicuramente una scommessa coraggiosa, che ai giorni nostri in pochi sarebbero disposti a fare.
Per fortuna, ci sono stati tempi in cui rischiare e scommettere su importazioni dal futuro incerto era più comune; se così non fosse stato, non avremmo ricevuto tante delle contaminazioni straniere che nel corso dei secoli hanno arricchito il nostro bagaglio culturale.
Ci sono stati contesti storici in cui la scelta di importare modelli lontani dal canone ha rappresentato una forma di ribellione ideologica. È il caso, a mio parere straordinario e peculiare allo stesso tempo, di Il mortale immortale di Igino Ugo Tarchetti. Quando, nel XIX secolo, l’Europa e gli Stati Uniti avevano visto diffondersi la letteratura gotica e fantastica, per mano di maestri come Edgar Allan Poe e E.T.A. Hoffmann, l’Italia era rimasta completamente isolata e ignorava questo nuovo genere letterario. Tarchetti, personalità di spicco della Scapigliatura milanese, amava invece il romanzo gotico, e rifiutava le convenzioni sociali della borghesia italiana, culturalmente legata al Verismo. Per fare in modo che il fantastico irrompesse nel canone italiano, scardinandone le regole, Tarchetti decise di non limitarsi a pubblicare le proprie opere, ma di usare la traduzione come un ariete.mortal immortal Perciò, nel 1865, quattro anni prima della pubblicazione di Fosca (romanzo che consiglio caldamente a tutti gli amanti del fantastico, e anche a chi è solo curioso di scoprirlo), egli pubblica Il mortale immortale (dall’inglese) su Rivista minima. Ma è allora che il temperamento indisciplinato di Tarchetti si manifesta in una scelta enigmatica, perché lo scrittore segnala una provenienza inglese del testo, ma lo firma come proprio, nonostante sia una traduzione del racconto The Mortal Immortal di Mary Shelley. Nel 1868, su Emporio pittoresco, il racconto tradotto viene nuovamente pubblicato con un nuovo titolo, L’elixir dell’immortalità (imitazione dall’inglese), di nuovo senza alcun rimando all’autrice e, anzi, con un riferimento ancora meno sincero su quella che è la vera fonte dell’opera.

Al di là delle valutazioni di etica professionale che potrei fare in altra sede, il lavoro di Tarchetti è interessante perché consiste nell’appropriazione di un testo che sfida il canone di quel periodo, probabilmente nella speranza di importare e diffondere il nuovo genere in Italia, promuovendo così la produzione di letteratura fantastica. Lawrence Venuti, teorico e traduttore che ha studiato e tradotto i lavori di Tarchetti, definisce questa strategia con il termine dissidenza. Per Venuti, la traduzione di testi che sfidino il canone contemporaneo della cultura d’arrivo sono delle pratiche dissidenti, perché compiono una trasgressione dal canone che permette di rimodernare la cultura, inserendo al suo interno dei modelli etnodevianti e potenzialmente innovativi.

Purtroppo, le cose per Igino Ugo Tarchetti non sono andate come sperava, e il fantastico è rimasto un genere ad appannaggio quasi esclusivamente degli scrittori stranieri. Nonostante questo, la Scapigliatura ha prodotto dei romanzi e racconti eccellenti come il suddetto Fosca o Malombra di Antonio Fogazzaro, Un osso di morto e Uno spirito in un lampone dello stesso Tarchetti, e ha spinto tanti autori italiani a cimentarsi nel genere, da Calandra a Salgari, da Capuana a Papini, da Gozzano a D’Annunzio.


Cfr. L. Venuti, The translator’s invisibility, Londra, Routledge, 1995, capitolo 4: Dissidence